Redatto da Oltre la Linea.
Flat Tax al centro di un lavoro impostato alla crescita: un dato a cui l’Ungheria di Viktor Orban, in senso buono, non è sfuggito negli ultimi anni. Che mostrano tendenze sempre confortanti: il Paese è cresciuto del 4% nel 2017 e prevedeva chiudere il 2019 al + 3,2%. Il tempo è al passato non a caso: al 2 ottobre, i numeri sono ancora più alti. E i salari seguono lo stesso andazzo. Il tutto mentre la zona Euro, come sempre, arranca.
Flat Tax e crescita
La Flat Tax ungherese, in vigore dal 2011, è pari al 15% per le persone fisiche. Dal 2017 c’è anche il 9% per le società. Le previsioni di crescita sopracitate si sono rivelate sbagliate. I magiari stanno chiudendo il 2019 a livelli ancora più alti, ben + 5,2, come riporta il quotidiano La Verità. Un dato di 4 volte superiore alla media Ue, che oscilla tra l’1,5 e l’1,6%.
Flat Tax, stipendi, Pil
Tasse abbattute, stipendi che svettano, Pil idem. Pare un processo naturale: il salario minimo ungherese nel 2019 è di circa 464 euro mensili, nel 1999 era inferiore a 100 euro. Quello medio nel 2015 era di 333 euro, nel 2018 supera i 600. Il Pil sale già del 4% considerevole sopracitato nel 2017, per un valore di 139 miliardi di euro, e le previsioni per il 2019 sono sempre state smentite da rialzi.
Aspetto interessante della politica economica ungherese è la lotta alla disoccupazione. Il Paese si barcamena con un numero di senza lavoro intorno al 3,4% (maggio 2019) che è praticamente un dato di piena occupazione. Ma per raggiungerlo, il governo ha creato un programma di qualifica specializzata per i lavoratori (circa 165mila persone, l’1,7% della popolazione) che oggi svolgono impieghi di pubblica utilità (cura di giardini pubblici, eccetera) retribuiti con circa 130 euro mensili. Dalla Flat Tax al respiro economico, insomma, il passo è stato piuttosto breve. Senza contare che lo Stato magiaro, a differenza di altri “colleghi” occidentali, non importa immigrati e – quindi – disoccupati.
Tassa piatta e investimenti esteri
La “Tassa piatta” aiuta tutti, e attira evidentemente gli stranieri, stanchi delle pressioni fiscali claustofobiche a cui costringono i governi più ad Ovest. Ed ecco che gli investirori esteri fanno la fila per immettere denaro nel settore automobilistico, ma anche nella costruzione di complessi residenziali. In particolare Flat Tax ungherese attira, secondo le stime di quest’anno, “una nuova impresa italiana al giorno”, per usare le parole de Il Sole 24 Ore. Il che ha attirato, guarda un po’, dichiarazioni non proprio felici della irreprensibile Commissione Europea che ha accusato il governo di Budapest di “aggressività fiscale” insieme ad altri sei Paesi (Lussemburgo, Belgio, Olanda, Malta, Cipro e Irlanda).
Conclusione
Il quadro, ovviamente, non è perfetto, ma c’è sempre da domandarsi quale lo sia in qualsiasi esperienza umana. Di sicuro la “democrazia illiberale” ungherese ottiene risultati decisamente superiori alla cugina liberale occidentale. Lo fa registrando sempre miglioramenti in ogni settore, dal turismo (nel 2018 il numero di turisti stranieri è cresciuto di 650mila unità, e oltre 6 milioni di ungheresi svolgono vacanze “nazionali”), agli aiuti alle famiglie. Perché un altro degli aspetti sociali dell’Ungheria di Orban è proprio questo: affronta i problemi “in casa”.
Anche in Ungheria c’è una mancanza di forza lavoro nel settore manufatturiero. Ma il governo di Budapest, invece di invocare salvifiche invasioni migratorie, incentiva la natalità: niente tasse a partire dal quarto figlio, 32mila euro di prestiti, agevolazioni sui mutui.
Budapest è un centro vivo in un ambiente di morti. E l’ambiente di morti si chiama Unione Europea. Dovrebbe far riflettere tutti.
(di Stelio Fergola)
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